IL DIRITTO DI CONTARE - Cinema teatro Corso - Rivalta

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IL DIRITTO DI CONTARE


Ci sono storie che, davvero, vale la pena vengano raccontate: e la storia di Katherine Johnson, e delle colleghe Dorothy Vaughn e Mary Jackson, è senza dubbio una di quelle. Bene, quindi, che dopo il libro che ha dedicato loro Margot Lee Shetterly, arrivi ora un film diretto da Theodore Melfi.
Il diritto di contare, va detto subito, è un feel good movie  e niente di più (e non a caso in America è uscito per Natale), perché  non ambisce a essere altro. Gli basta la storia, raccontarla, come è  giusto e bello che sia, con una lingua semplice e diretta, senza vezzi o  ambizioni di fare cinema alto e raffinato. No, qui tutto e tutti sono  al servizio della storia.
 
Solo la vita poteva sceneggiarla così, la vicenda di queste tre donne  nere che, nell'America del 1961 (nella Virginia del 1961, che, come  viene ricordato, era ancora uno stato fieramente segregazionista: e  parliamo di poco più di 50 anni fa), hanno dato un contributo  fondamentale allo sviluppo della NASA. Senza la Johnson, in particolare, John Glenn  non sarebbe stato il primo americano nello Spazio, o forse sarebbe  morto in missione. Senza di lei, gli Stati Uniti non avrebbero messo  piede e bandiera sulla luna.
Tutto questo grazie a Katherine Johnson. Nera. E donna. Nell'America e nella Virgina del 1961: due anni prima della marcia su Washington del Reverendo King, e quando Kennedy  stava ancora lavorando sulle leggi che avrebbero garantito i diritti  civili alla popolazione afroamericana e che sarebbero sfociate nel Civil Right Act, o dell'istituzione della Commissione Presidenziale sullo Status delle Donne.
 
Da un lato il sogno di Katherine Johnson, e di Dorothy Vaughn e Mary Jackson,  quindi; dall'altro il sogno kennediano della conquista dello Spazio.  Due sogni e due utopie che si sono realmente intrecciate come solo la  realtà può fare, e che sono diventati realtà grazie alla capacità di  poche persone di essere visionarie. Di guardare oltre i numeri, come  dice Kevin Costner nei panni di Al Harrison, director of the Space Task Group, e vedere qualcosa che non c'è ancora: essere già lì, dove il resto del mondo deve ancora arrivare.
Yes We Can, si sarebbe detto fino a poche settimane fa.
 
Con un materiale del genere a disposizione, che praticamente si è scritto da solo, a Melfi  non rimaneva moltissimo da fare, ed è stato bene attento a farlo senza  commettere troppi errori. Perché, per esempio, ti spaventa subito con un  incipit vagamente seppiato, nel quale la Katherine  bambina vede letteralmente le forme geometriche animarsi mentre il mondo  scopre il suo genio e sotto gli archi trionfano impetuosi, ma poi passa  tutto il resto del film a dire "vedi? mica ho fatto quella roba lì  dell'inizio."
E va anzi riconosciuto che, per un film di questo tipo, il livello della  retorica e della melassa sentimentale è sorprendentemente basso.  Basterebbe, in questo senso, pensare a come Melfi  gestisce la storia di Katherine che deve correre per un km ogni volta  che deve andare in bagno, perché nella palazzina dove svolge il suo  nuovo, importante compito, di bagni per "colored" non ce ne sono: toni  che, soprattutto all'inizio, sono più da commedia che da dramma.
 
Insomma, Melfi fa il suo lavoro; si mette al servizio della storia, e ci mette tre bravissime protagoniste (Taraji P. Henson, Octavia Spencer e Janelle Monáe), supportate da un cast bianco scelto con intelligenza: dal citato Costner, che nei film ambientati in quegli anni ci sta sembre bene, ed è burbero quanto basta, a Kirsten Dunst e Jim Parsons  - bianchi un po' rigidi e un po' ariani che "non ho niente contro di  voi", dicono, sottintendendo "voi" neri , esplicitando senza volerlo il  problema ("Lo so. So che è quello che lei crede", gli risponde infatti Octavia Spencer) - passando per il Glen Powell perfetto per un simpatico e progressista John Glenn.
Sotto, basta archi e spazio a una colonna sonora soul e jazz che ci sta  sempre bene, e sopra un po' di enfasi - legittima - sul pragmatismo  positivista della scienza: perché, dice Coster sbottando sulla faccenda del bagno, "qui alla NASA la pipì è tutta dello stesso colore".
 
E allora ecco che te lo guardi, Il diritto di contare,  ti ci rilassi davanti e quasi non ci credi che poco più di cinquanta  anni fa le cose stavano in quel modo, e poi ci pensi e capisci che di  passi avanti non ne abbiamo fatti ancora abbastanza, per i neri, per le  donne, per tutti coloro cui viene tolto qualche diritto, negata qualche  possibilità. Nonostante la scienza, la NASA, nonostante Katherine Johnson, Dorothy Vaughn e Mary Jackson. La cui storia doveva essere raccontata: anche al cinema, anche così.

Un film di Theodore Melfi.
Distribuito da 20th Century Fox.
Genere Film: Drammatico.
Durata: 127 min
Anno 2016


DOMENICA 8 APRILE 2018
SPETT. ore 20:30
Biglietto unico €4.00
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